Giovanna Rossi
46percento, il blog sul triathlon
Intervista a Giovanna Rossi, mamma, triatleta e blogger di 46percento, dove tra una gara e l’altra condivide le sue emozioni sulla corsa e sull’importanza di fare sport anche quando si soffre di scoliosi con ben 12 vertebre bloccate e si hanno una ventina di viti nella schiena. La storia di Giovanna ci insegna come ogni punto di arrivo contenga sempre un nuovo inizio.
Il tuo blog nasce nel 2015, 7 anni dopo il tuo intervento. Cosa ti ha spinto a cominciare a raccontare la tua storia, ma soprattutto la tua vita quotidiana?
Quando ho deciso di preparare il mio primo triathlon ho realizzato che la mia storia forse valeva la pena di essere raccontata, non tanto perché la considerassi importante, piuttosto mi sembrava una storia utile.
Devo ammettere che c’era anche un’altra ragione: iniziare a fare sport mi spaventava a morte, e raccontare la mia storia era un modo per esorcizzare le mie paure e il senso di inadeguatezza che mi portavo e mi porto continuamente addosso. Sono sempre stata una persona aperta e credo che la mia storia possa essere utile non solo per la parte che riguarda lo sport. Sono mamma, sono stata sola coi due bambini, ho cambiato città più volte nella vita… cose semplici che alla fine sono per tutti delle prove. Sapere di non essere soli le rende più semplici da affrontare. Mi piacerebbe molto far sentire meno sole le persone.
Questo 46 per cento quanto ha influenzato la tua vita?
La mia scoliosi ha influenzato sempre la mia vita. Quando ero una ragazzina portavo il busto, che assicuro non è una cosa facile quando sei nel pieno dell’adolescenza, poi ho sofferto parecchio di mal di schiena e non trovavo nessun medico che mi aiutasse a trovare una soluzione. Alla fine è arrivato l’intervento nel 2018, che per me è stato un nuovo inizio. L’invalidità dichiarata del 46percento, due barre di titanio e una ventina di viti nella schiena, ricominciare a camminare da un letto di ospedale. Una vera e propria rinascita.
Il triathlon per passione, il marketing per lavoro, la famiglia per amore. Come riesci a conciliare il tutto?
Ecco! Questa è la vera sfida della mia vita. Trovare il modo di fare tutto. Credo che siano due le parole guida: PASSIONE e ORGANIZZAZIONE. Non è certamente semplice riuscire a conciliare tutto e ogni tanto devo ammettere che mi chiedo “chi me lo ha fatto fare” ma poi passa in un attimo. Non ho mai amato il relax inteso come ozio. Da sempre ho avuto bisogno di fare, imparare, scoprire, anche quando ero in vacanza.
Devo ammettere che non potrei tenere questi ritmi se non fosse per Gabriele, che oltre ad essere il mio allenatore è il mio compagno e mi aiuta tantissimo con i bimbi e in casa. Certo che mi sveglio presto la mattina e sfrutto ogni secondo della giornata fino a sera. Le mie giornate sono un tetris tra lavoro, famiglia, allenamento. Mi piace così!
Che ruolo hanno avuto i tuoi affetti nel primo periodo dopo l’operazione?
Ho subito due interventi. Il primo nel 2008 e il secondo nel 2012. La prima volta avevo due figli di 1 e 3 anni e il loro padre mi aveva lasciato da poco. Era un momento difficilissimo da mille punti di vista. La mia famiglia di origine è stata fondamentale, ma senza un compagno al mio fianco è stata davvero dura. Non poter prendermi cura dei bambini per mesi è stato difficilissimo, ma per fortuna i miei genitori e le mie sorelle lo hanno fatto per me e con me. Nel 2012 al contrario c’era Gabriele e non scorderò mai quando ho aperto gli occhi dopo l’operazione e lui era lì. Lo considero uno dei giorni più belli della mia vita. Aprire gli occhi e trovare la persona che ami li è un’emozione incredibile. Ogni vittoria, c’è poco da dire, è sempre merito di una squadra!
Da piccola non sopportavi i giochi della gioventù e dici di non essere mai stata una grande amante dello sport. Cos’è cambiato con il tempo?
Trovarmi in un letto di ospedale e dover ricominciare a camminare è stata l’esperienza più forte della mia vita. Credo che sia stata quella la svolta. Volevo rimettermi in fretta per poter tornare a vivere da sola coi miei figli, per potermi prendere cura di loro. Quando vivi un’esperienza del genere ci sono mille momenti che non dimentichi. La prima volta che ti metti in piedi, i primi passi, la prima volta che fai le scale. E poi la prima passeggiata al mare. Insomma si è acceso qualcosa dentro di me. La dura e lunga riabilitazione ci ha messo la sua, insegnandomi a fare fatica fisica per ore e ora e facendomi scoprire che giorno dopo giorno potevo superare i miei limiti. Oggi per me lo sport è la prova che nella vita possiamo cambiare e possiamo fare cose impensabili se lo desideriamo fino in fondo.
Hai raccontato che da sempre adori pedalare. Come sei arrivata ad appassionarti al triathlon?
Ho sempre amato andare in bici, ma la bici fino a qualche anno fa era semplicemente il mio mezzo di trasporto preferito. Non sono mai stata una sportiva!
Nel 2014 ero all’Isola d’Elba dove il mio compagno doveva partecipare ad una gara, io avevo dato la disponibilità per aiutare due paratleti in zona cambio. È stata una folgorazione! L’alba, la concentrazione dei partecipanti, le grida, il sudore e la gioia all’arrivo. Il giorno dopo ho chiesto a Gabriele di allenare anche me. Da quel momento oltre che essere il mio compagno è diventato il mio allenatore e il triathlon ha iniziato a far parte della mia vita e della nostra vita a tutti gli effetti.
Qual è il ricordo più bello che ti ha lasciato la tua prima gara?
Ricordo ogni momento di quel giorno. La nebbia, il mare mosso, il sapore del triathlon in bocca uscendo dal mare. Le prime bracciate mentre pensavo di voler essere da tutt’altra parte e gli ultimi metri verso il traguardo con la mia mano stretta a quella di mia figlia.
Ma il ricordo più bello è la sensazione di aver fatto una cosa che 6 mesi prima non avrei mai pensato di poter fare. E non si tratta tanto dell’invalidità ma del fatto che spesso non ci rendiamo conto delle nostre reali possibilità.
Questa è l’emozione più importante che ogni tanto richiamo alla mente per superare gli ostacoli, non solo quelli sportivi.
Cos’è e come nasce il team #PRIMADITUTTO?
È un progetto nato dall’esperienza del blog. Quando mi sono accorta che la mia storia stava aiutando tante persone che leggendomi trovavano speranza, ho pensato “perché non permettere ad altri malati o invalidi di utilizzare lo sport come terapia?” Alla fine io, Gabriele ci siamo messi all’opera con l’aiuto prezioso di amici e professionisti che ci hanno aiutato.
Oggi il #primaditutto team è gruppo composto da uomini e donne che presentano una patologia (oncologici, cardiopatici, obesi, invalidi…) che preparano un obiettivo sportivo. Ognuno si allena secondo le proprie possibilità e in sicurezza. Inoltre c’è un gruppo di cammino (il #primaditutto cammina) che si trova regolarmente per “allenarsi alla salute”. Il nostro obiettivo è quello di diffondere la cultura della prevenzione e di aiutare pazienti ed ex pazienti a tornare alla vita grazie allo sport.
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